Nella casa di Barilla il menù è anni 50
Le dichiarazioni conservatrici e bacchettone di Guido Barilla hanno colto di sorpresa in tanti, che non si aspettavano una tale presa di posizione no gay da parte di uno più importanti imprenditori italiani. A parte il punto di vista personale (Guido Barilla è tradizionalista e non vede di buon occhio gli omosessuali: più che legittimo), a spiazzare – almeno il sottoscritto – è la leggerezza e il candore con i quali il presidente dell’azienda leader nel mercato della pasta secca confonde l’uomo Barilla dal brand Barilla. In particolare, questa affermazione: «Non farei mai uno spot con una famiglia omosessuale, non per mancanza di rispetto ma perché non la penso come loro […]», mi sembra significativa perché svela una mentalità anacronistica e inappropriata. Praticamente Guido Barilla ci sta dicendo che la sua personalità, i suoi valori e i suoi pregiudizi sociali di individuo si riflettono paro-paro sull’identità del brand Barilla. Se compro il mitico cartoncino blu, Mulino Bianco o qualsiasi altra marca penso di entrare in un mondo valoriale unico, certamente influenzato da chi guida la società ma non mi aspetto neanche la trasposizione del pensiero di un singolo. Anche perché il punto di vista in questione è rispettabile ma palesemente superato. Non intendo sostenere che una marca debba tenere un profilo cerchiobottista o, peggio, seguire il vento che tira, anzi, sappiamo che le marche forti e amate lo sono anche perché si schierano.
Affermo semplicemente che un brand deve mutare per prevenire l’invecchiamento, deve appropriarsi dell’attualità culturale, deve monitorare i trend emergenti, deve rappresentare lo spirito del tempo. Cosa significa oggi “famiglia”? Siamo proprio sicuri che mettere dei paletti sia utile a qualcuno e soprattutto giovi alle vendite Barilla? In un’epoca in cui perfino un papa apre agli omosessuali è strategicamente inconcepibile che una multinazionale dichiari pubblicamente: «Se ai gay non piace la nostra pasta ne mangeranno un”altra». Come se i gay fossero una categoria di clienti di cui vergognarsi oppure sia necessariamente una qualità encomiabile insistere testardamente sulla storia della famiglia classica idealizzata. Piuttosto trovo l’unione con McDonald’s (chissà come saranno contenti oggi in USA…), quella sì una famiglia imbarazzante, un co-marketing diabolico e incoerente, che snatura l’identità di marca e fa arrabbiare i Barilla-addicted, forse ancor più di un discorso subdolamente razzista. Non conosco i termini economici dell’accordo tra i due colossi ma ritengo che la società italiana abbia tutto da perdere in termini di equity e, nei panni di Guido Barilla, mi sentirei decisamente più a disagio in un ristorante McDonald’s dove si serve la mia pasta invece che a tavola per una spaghettata insieme a un gruppo di persone omosessuali.
Nicola Di Francesco – Milano, 3 ottobre 2013.