Patagonia, sostenibilità integrata nel modello di business
Spesso i miei interlocutori mi chiedono: come faccio a costruire un brand? Non c’è una ricetta universale ma esistono alcuni capisaldi manageriali da rispettare. Certamente, per costruire un brand, non è sufficiente un’identità visiva professionale, un sito con un’eccellente user experience (UX) o una campagna di comunicazione apprezzata. E allora, qual è la risposta? Non esiste una risposta preconfezionata, ma approfondire il caso Patagonia vi aiuterà a ragionare e a trovare più agevolmente la vostra strada. Sono decine i brand che oggi dimostrano attenzione ai temi della sostenibilità, e sono molti di più se consideriamo tutte quelle aziende che si muovono sul filo del greenwashing e della trovata di marketing contemporanea.
Ma i casi degni di nota, realmente rilevanti rispetto a una visione di sviluppo sostenibile, sono assai meno. I brand con una sensibilità vera alla corporate social responsability (CSR), coerente e applicata al modello di business, sono una rarità. E tra le rarità, la gemma più preziosa è quella di Patagonia: un modello rivoluzionario quanto virtuoso dove l’amore per l’ambiente non è il mezzo ma il fine per acquisire clienti. O, per dirla in altri termini, la sostenibilità non è una tattica alla moda per ottenere la simpatia dei consumatori ma la strategia identitaria per conquistare la stima e l’affetto delle persone nel tempo.
Patagonia non è un brand costruito a tavolino sulla base dei desiderata del consumatore contemporaneo ma è un’idea che parte da lontano, dalla filosofia del fondatore Yvon Chouinard, alpinista e imprenditore self-made man che negli anni 80 ha ridefinito l’estetica dell’abbigliamento da montagna e outdoor. Ma non è solo una questione estetica, anzi. Se Patagonia è diventato un brand iconico è soprattutto per i valori di cui si fa portatore e che condivide con i propri clienti, facendoli sentire parte di una famiglia composta da membri responsabili ed esclusivi (non è un caso se «Benvenuto in famiglia» è il messaggio che apre il testo della mail di conferma-registrazione alla newsletter Patagonia, nda). Il valore fondante del brand è dunque quello della sostenibilità (ambientale) ma a un primo sguardo sono ravvisabili almeno altri sette pilastri strategici identitari: la responsabilità sociale, l’autenticità, l’anticonformismo, l’etica, la libertà, l’innovazione e lo spirito avventuriero insito nel brand name, scelto perché evocava «una visione romantica dei ghiacciai che scendevano a strapiombo nei fiordi, cime appuntite e spazzate dal vento, gauchos e condor.».
Questi valori di marca sono poi stati comunicati magistralmente negli anni, con l’uso originale dei cataloghi, realizzati con la complicità di persone comuni immortalate nei suggestivi scatti wilderness di Galen Rowell o Corey Rich: una tattica che continua a essere efficace dal punto di vista narrativo.
L’innovazione, poi, è stata palesata anche con la comunicazione strategica. Memorabile e ultramoderno nella sua semplicità l’annuncio pubblicato sul Times in occasione del Black Friday del 2011 dove Patagonia suggeriva ai clienti di non comprare la propria Pile Fleece Jacket, descrivendo i costi ambientali necessari per produrla («Don’t Buy This Jacket», era il nome della campagna). Il 2011 è anche l’anno della certificazione B Corp.
Un’altra iniziativa strabiliante di marketing è stata nel 2015 Worn Wear, dove un camper alimentato a biodiesel ha girato gli Stati Uniti riparando più di duemila capi usurati e rivendendo prodotti Patagonia di seconda mano. Il brand sembra ricordarci che fa sul serio, non si limita a sensibilizzare ma agisce portando avanti una missione precisa: fare business per salvare il pianeta in cui viviamo («We’re in business to save our home planet.», la mission ufficiale in inglese).
D’altra parte, Patagonia è sempre stata concreta: dal 1986 il 10% dei profitti lordi e/o l’1% delle vendite è devoluto a piccoli gruppi che lavoravano per la salvaguardia aree degradate. Un’autentica azienda attivista, che porta avanti una narrazione potente. Potente perché credibile e edificata su dei valori robusti e positivi, grazie ai quali il brand ha costruito una reputazione forte e un vantaggio competitivo che – se ben gestito – può solo moltiplicare il suo valore. Valore e valori da sempre, nel branding, si intrecciano ma oggi questo rapporto si fa sempre più intenso perché i valori di marca alimentano il valore economico del brand. È qualcosa di riconoscibile osservando le principali marche che troviamo nelle nostre città e raggiungiamo dai nostri browser, ma è un dato che emerge con decisione dalle ultime ricerche di marketing.
La recente «From Me to We: The Rise of the Purpose-led Brand» di Accenture Strategy, ad esempio, ci racconta che: un consumatore su due abbandona la marca se non condivide lo stesso sistema di valori; il 73% si aspetta che un brand prenda posizioni chiare su questioni di tipo sociale, culturale, ambientale, politico; il 71% preferisce acquistare da aziende che promuovono i propri ideali; il 63% degli italiani orienta le decisioni di acquisto in base all’autenticità e ai brand values*. Leggendo questi risultati, non sorprende il successo globale di Patagonia. E appare ormai diventato un prerequisito per le aziende-marche quello di definire un solido, coerente e autentico sistema di valori, senza il quale la strada per la crescita e lo sviluppo si fanno impervie. Ora è facilmente intuibile che alla domanda iniziale «come faccio a costruire un brand?» rispondo sempre: partendo dai valori di marca. È questa la chiave di volta del branding.
Nicola Di Francesco – Milano, 18 aprile 2019.
* I dati riportati si riferiscono alla declinazione italiana dello studio, pubblicati sull’edizione cartacea del Sole 24 Ore del 13 aprile 2019.