Victoria’s Secret in crisi d’identità: cancella lo show di Natale
È ufficiale: Victoria’s Secret cancella lo show natalizio. La parabola di Abercrombie non ha insegnato molto. Evidentemente, tutti i brand sono vulnerabili. E lo sono ancora di più se sottovalutano i cambiamenti socio-culturali: Victoria’s Secret – in questo senso – è uno degli esempi meno virtuosi degli ultimi anni. Mentre là fuori il modello dell’individuo-donna è cambiato profondamente, loro hanno continuato a perseverare nella stessa direzione, con dichiarazioni discutibili come quelle dell’ex CMO Ed Razek che aveva chiuso la porta in faccia all’ipotesi di modelle transgender e curvy. E, in un’epoca di valorizzazione dell’inclusione sociale e di guerra al body shaming, andare controcorrente non fa di te un brand coraggioso né distintivo. Ma un brand fuori dal tempo.
E infatti negli ultimi anni si è aperta un’inevitabile crisi di reputazione e di vendite. Le millennial hanno scaricato il colosso americano, che è stato attaccato anche da alcuni «angeli» come Karlie Kross e Doutzen Kroes. Se i valori di marca non sono più condivisibili e l’empatia con il brand viene meno, tanto vale virare verso i più accessibili American Eagle Outfitters, GAP, Hanesbrands e cercare online qualcosa di più contemporaneo. Victoria’s Secret rimane un colosso e sta provando a reagire: ha cambiato il CMO, ha assunto una modella transessuale e ha cancellato il suo celebre show di fine anno. Le loro non sono certo delle decisioni spontanee e guidate dai valori, ma c’è tutto il tempo per riposizionarsi e ritornare ad essere uno tra i brand più amati dalle donne.
Succede e succederà sempre che alcune decisioni vengano prese per rimediare a errori precedenti. Ricordiamo Guido Barilla, che nel 2013 difese la famiglia tradizionale invitando i gay a mangiare altre marche di pasta… da quel momento il brand Barilla ha modificato il suo posizionamento e oggi è diventato un modello di inclusione e difesa dei diritti LGBT. È chiaro sia stata una strategia di crisis communication per salvaguardare la reputazione e favorire il cambiamento nel tempo, come lo è ora per Victoria’s Secret aprire alla comunità LGBT: una scontata tattica per limitare i danni e avvicinarsi ai codici dell’inclusione sociale.
Alcuni commentatori criticano Victoria’s Secret, accusandola di non avere un brand purpose (uno scopo più ampio). Ritengo, invece, che Victoria’s Secret abbia sempre avuto una direzione chiara e definita, con un nucleo costitutivo di marca solido dove emergevano valori come: seduzione, bellezza, romanticismo, eleganza, giovinezza, sogno, passione, innovazione, design, assortimento, creatività. È la forte personalità del brand che ha innescato le criticità che hanno portato alla crisi. Lo show natalizio – il cui costo medio era di 20 milioni di dollari – era “solo” lo strumento di branding più potente per trasferire il posizionamento di marca. Oggi, però, quella proposta di valore e valori non è più in linea con lo spirito del tempo: non manca uno scopo ma la capacità di rinnovarsi nel tempo. Ma sarebbe sbagliato cancellare quanto fatto da un brand capace di trainare da solo la crescita della categoria lingerie raggiungendo una market share superiore al 40%, un fatturato di 12 miliardi di dollari e una capitalizzazione di mercato di quasi 30 miliardi di dollari. Non si sarebbe neanche lontanamente avvicinata a quei numeri se fosse stata solo un produttore e distributore di biancheria intima.
Altri commentatori attribuiscono come motivo di colpa, una sorta di arroganza reiterata del top management. Personalmente, sospetto che questa e altre crisi simili, siano perlopiù dipese da un mix di miopìa e una naturale quanto sciagurata propensione a sedersi sugli allori. Ricordiamo l’incredibile caso di Nokia: una leadership indiscussa polverizzata in pochi anni, battezzato nel 2008 dall’acquisizione di Navteq per 8,1 miliardi di dollari… poco prima che venisse fondata Waze. Una menzione, in questo senso, la merita anche Blockbuster, che è restata sul divano con i popcorn a guardarsi il film del cambiamento invece di modificare il proprio modello di business e perché no? lanciare una Netflix prima di Netflix.
Il caso di Victoria’s Secret è singolare. Il desiderio delle giovani donne di seguire un modello estetico vicino a quello degli «angeli» non è diminuito ma è solo maturato. L’interesse generale per il mondo del fitness, per gli integratori alimentari e per le diete personalizzate sono il termometro di una diffusa volontà di favorire la migliore forma fisica. Quello che è cambiato profondamente è che l’esibizione del corpo perfetto e la plateale spettacolarizzazione/mercificazione dello stesso, viene culturalmente ritenuta inaccettabile e anacronistica.
Nicola Di Francesco – Milano, 25 novembre 2019.