Gillette, il meglio (per una campagna) di un uomo
Sei sei un brand con 117 anni di storia, significa che sai gestire il mutamento. Se sei sopravvissuto così a lungo, significa che sai che bisogna rinnovarsi e come farlo. Gillette, nata nel 1902 e acquisita da P&G nel 2005 per un valore di 57 miliardi di dollari (una delle più grandi acquisizioni della storia, nda), sta facendo discutere in questi giorni per il suo commercial «We Believe: The best men can be». Rielaborando lo storico payoff «The best a man can get» – in Italia noto come «Il meglio di un uomo» – il nuovo spot denuncia i comportamenti sessisti e aggressivi degli uomini e gli dà un nome: mascolinità tossica («toxic masculinity»). Il commercial da quasi due minuti, che fa riferimento a #MeToo e molestie sessuali, è stato duramente criticato per aver offerto una visione degli uomini negativa e oscena; la protesta è subito montata e si è concretizzata nella creazione dell’hashtag #BoycottGillette. Non soprende che una comunicazione improntata su temi di sostenibilità sociale, che – apparentemente – va contro i propri clienti possa creare dibattito e inimicarsi più di qualcuno. Quello che sorprende, a mio avviso, è che tra i detrattori più feroci non ci sia solo la tribù maschile ma anche apprezzati accademici e addetti ai lavori esperti di marketing.
Lo spot, dal punto di vista creativo e nell’esecuzione, non è impeccabile. Contiene qualche cliché di troppo, è didascalico nello script, ha un sapore vagamente mellifluo nel finale. Ma è potente nel significato: crea dibattito, divide, lascia il segno. Fa quello che fanno le grandi marche: provare a influenzare la cultura, invitare a seguire uno stile di vita. In tanti puntano il dito su Gillette e la bacchettano per aver rinnegato se stessa, offendendo i propri clienti con l’aggravante dell’uso di un linguaggio politico inopportuno in pubblicità. Ma Gillette fa esattamente quello che va fatto: legge i cambiamenti nella società e si rinnova senza snaturare le proprie identità e personalità, che hanno come valore distintivo quello dell’innovazione. Per mantenere viva e seducente una marca nel tempo, bisogna prendersi qualche rischio e raccontare la propria visione del mondo contemporaneo. Naturalmente, non limitandosi solo a uno spot, ma provando a influire concretamente guidando il cambiamento sostenendo modelli sani; in questo senso appare coerente l’iniziativa spiegata sulla pagina dedicata del proprio website, dove Gillette promette di donare 1 milione di dollari all’anno per tre anni a organizzazioni non-profit che si occupano di progetti affini alla missione best man can be.
Altri commentatori, hanno individuato tra le ragioni alla base dell’annuncio quella di una sensibilità sempre maggiore dei millennial verso i brand che si attivano sul fronte della Corporate Social Responsability (CSR). In un certo senso, si sostiene che Gillette abbia progettato questo annuncio per moda e come astuto espediente per cavalcare cause di interesse sociale: una sorta di socialwashing. È chiaro che possa essere stata in parte una furberia ma perché oggi e, sempre più, nel prossimo futuro tutti sono/saranno sensibili a tematiche di sostenibilità sociale, ambientale, economica. Siamo nell’era dello sviluppo sostenibile, le aziende con i loro brand non possono stare a guardare ma sono costrette ad attivarsi. Gillette si è semplicemente attivata, utilizzando la comunicazione pubblicitiaria – da brand leader – per modificare la status quo. O crediamo che l’advertising debba ancora vendere dei prodotti? Chi critica e boicotta Gillette, avrebbe preferito il solito annuncio con il giovane uomo muscoloso e glabro che con l’asciugamano sulle spalle impugna, compiaciuto della sua mascolinità, un rasoio cinque lame? Questo sì che è offensivo per gli uomini: proporre uno stereotipo di maschio dominante per ottenere un gradimento facile. Per quanto incompleto e perfettibile, mi tengo stretto lo spot Gillette; che il suo, in termini numerici, l’ha già fatto, con 20 milioni di visualizzazioni in cinque giorni solo su YouTube.
Sono fiducioso che questa operazione sarà positiva per il gradimento e le vendite di Gillette. Anche se a leggere i commenti in giro, sembra che la maggior parte degli estimatori di questa campagna siano donne… che, non lo dimenticherei in chiave marketing e branding, sono anch’esse consumatrici di rasoi e clienti Gillette. Donne che per fortuna non hanno il pelo sullo stomaco di certi uomini dalla mascolinità tossica, ma che con il rasoio hanno una certa dimestichezza e possono contribuire a radere al suolo i brand che – al contrario di Gillette – non colgono lo spirito del tempo.
Foto: wired.com – Shana Novak/Getty Images