Il core business di David Lynch
È lecito affermare che David Lynch non solo è un brand ma che si rivolge al mercato con un’organizzazione dell’offerta autoreferenziale, non troppo dissimile da quella di matrice giapponese (si pensi a Yamaha: motori, strumenti musicali, elettronica, ecc.) o dal modello monolitico della Virgin. Certo che le logiche imprenditoriali e finanziarie sono assai diverse da quelle adottate dalle global company citate. Tuttavia il cineasta statunitense – con ogni probabilità, inconsapevolmente – ha strutturato una propria architettura di marca che indirettamente ordina le gerarchie tra i vari prodotti commercializzati con l’”etichetta” David Lynch. Ricapitolando, Lynch, oltre ad essere il grande regista che tutti conosciamo, è attivo nei settori: musica (il suo primo disco: Crazy Clown Time), pittura, scenografia, fund raising e – udite udite – caffè.
È una sua ossessione (si narra arrivasse a berne venti tazze al giorno) e anche i suoi film contengono dei riferimenti espliciti al ruolo di “lubrificante intellettuale” della bevanda (i fan ricorderanno istantaneamente l’agente Cooper di Twin Peaks e Angelo Badalamenti che sputacchia l’espresso in Mulholland Drive). Quest’ultimo prodotto ha fatto storcere il naso ad alcuni che non hanno proprio digerito il “tradimento” mass market. Fanatismi a parte, dal punto di vista del branding balza agli occhi una contraddizione in termini di valori. Quello del caffè è un campo irto di ostacoli di significazione perché rappresenta un passaggio avventato verso territori ignoti e innaturali. In altre parole, esiste il rischio altissimo di sminuire e deprezzare il valore della marca con uno “stretching” dissennato, simile, per intenderci, a quello praticato da alcuni celebri brand che “estendono” ex abrupto dalla moda alle piastrelle per il bagno. In realtà, a ben guardare, l’operazione Organic Coffee (il commercial “Oh Yeah”) è più coerente di quello che può sembrare.
Per Lynch il caffè è una pozione magica, la scintilla capace di risvegliare idee nascoste, oliare gli ingranaggi oscuri e prodigiosi della mente. Una visione onirica, introspettiva e artistica in linea con la sua storia. Sì, ma dov’è la logicità?, verrebbe da obiettare. Qual è il core business di David Lynch? Il cinema, risponderebbero i più senza titubanza alcuna. Invece, personalmente, sarei molto più propenso a parlare di un unico comune denominatore che abbraccia tutti i prodotti, facendo loro da pilastro del sistema di identità. Il core business di David Lynch, quello che sa vendere meglio, è l’arte. E, visti così, il suo discorso e il suo espresso sono più che bevibili.
Nicola Di Francesco – Milano, 8 febbraio 2012.