Naming e Payoff
Degli elementi che compongono un marchio il più fragile da manipolare è senza dubbio il nome. È il primo contatto con l’esterno e dovrebbe inquadrare, o al limite evocare, sin da subito la proposta commerciale trasferendo con decisione l’essenza della marca. Il nome di una conferisce un profilo connotativo, trasmette un messaggio intriso di informazioni, materializza una vision, fa sistema, narrativizza.
Tutto si può modificare nel corso della storia di un brand: un packaging, la comunicazione, anche il «logo» e le persone che la rappresentano istituzionalmente. L’attività di naming non è un esercizio di creatività ma un processo interdisciplinare che abbraccia a doppio filo marketing, comunicazione, linguistica, semiotica e diritto (proprietà industriale). Esistono delle caratteristiche che un nome di marca dovrebbe sempre possedere, tra queste le principali sono: originale, orecchiabile, evocativo, memorabile, tutelabile legalmente, semplice, mutabile (aperto al cambiamento) e coerente. In certi casi è tuttavia possibile puntare maggiormente, ad esempio, sull’originalità a danno della semplicità: sono valutazioni da farsi in corso d’opera, che variano rispetto al mercato e al posizionamento strategico.
Tipologie di brand name
I nomi di marca possono essere raggruppati in tre tipologie principali: denotativi (o descrittivi), connotativi (o evocativi), patronimici (o nomi propri).
I nomi denotativi descrivono il prodotto o servizio, senza lasciare spazio a particolari interpretazioni. General Electric, Trenitalia, Divani&Divani, Parmalat, Riso Gallo, Borotalco Roberts sono alcuni esempi. Il vantaggio di questi nomi è quello di godere di memorabilità e di essere riconosciuti come familiari nei propri mercati. Di contro, un nome descrittivo è meno carismatico e mal si presta a costruire/solleticare l’universo della marca. A volte è possibile raccontare esplicitamente l’offerta mantenendo valide qualità distintive: è il caso della compagnia aerea spagnola Vueling, che ha costruito in maniera insolita il suo nome unendo parole di differente origine linguistica («vuelo» + « ing»).
I nomi connotativi evocano quel mondo di associazioni extra-funzionali e sono i più adatti per costruire un significato personale. È come se coinvolgessimo le persone in un gioco, dove forniamo loro una parola che può essere intesa in diversi significati e arricchita da un punto di vista soggettivo. Apple, Nike, Virgin, Google, Amazon, Starbucks, Sony, Jaguar, Victoria’s Secret. Se sono delle grandi marche lo devono anche all’originalità dei loro naming; se sono cool è perché tutti noi gli riconosciamo – oltre a un prodotto valido – delle peculiarità simboliche.
I nomi patronimici sono invece quelli che derivano da una persona, solitamente il fondatore dell’azienda. Sono forse quelli più diffusi, con delle punte altissime nei settori legati al Made in Italy (specialmente nell’alta moda e nel lusso), senza dubbio una tendenza che ha fatto storia ma che oggi è meno diffusa. Ferrero, Barilla, Lavazza, Ferrari, Benetton, Dolce&Gabbana, Armani, Cucinelli, Versace, Feltrinelli, De Cecco, Rana, Campari, Recordati sono alcuni dei centinaia che tutti i giorni incrociamo nelle vetrine, in TV o sugli scaffali dei supermercati. Anche all’estero, grandi brand hanno origine dal cognome del proprio leader: ricordiamo Ford, Disney, McDonald’s, Nestlé, Hewlett-Packard, Kellogg’s, Hilton.
Sigla, acronimo, onomatopee
Tra le strade più battute ci sono le sigle e gli acronimi, costruite fondendo più nomi o una ragione sociale particolarmente corposa. Si utilizzano in quasi tutti i mercati, a volte si rivelano indispensabili, come ci ricorda il corriere espresso (ex) Bartolini che, per allinearsi agli altri player (TNT, SDA, UPS, DHL) e favorire l’internalizzazione del marchio, si è trasformata in BRT. LVMH (Louis Vuitton Moët Hennessy S.A.), ENI (Ente Nazionale Idrocarburi), FCA (Fiat Chrysler Automobiles), BBC (British Broadcasting Corporation), OVS (Organizzazione Vendite Speciali) sono altri esempi di sigle e acronimi. Su questa strada ricordiamo PPR (Pinault-Printemps-Redoute) che nel 2013 ha fatto renaming con Kering: «ker» («casa», in bretone) + l’assonanza con la parola care/caring inglese (cura, attenzione).
Le parole che imitano un suono – le onomatopee – sono nomi capaci di indirizzare a una precisa caratteristica della marca; che sia un particolare del packaging (Tic-Tac, il tipico suono dell’astuccio richiudibile), della musicalità del prodotto (Strep, le strisce depilatorie che strappano) o simbolicamente al mondo dei fumetti (Rai Gulp, il canale dedicato ai bambini).
Possiamo concludere questo breve viaggio nel complesso mondo del naming con alcune macro-considerazioni. Il nome di marca è l’asse portante dell’identità di marca. Anzi è l’asset portante dell’identità di marca, perché crea valore economico per l’impresa. Con un nome ben studiato è più facile progettare una brand identity efficace, ed è più facile costruire un’universo di marca «sexy». Con un nome banale, dal suono sgradevole, non difendibile legalmente, si riducono sensibilmente le possibilità di sviluppare un’identità vantaggiosa per l’accreditamento e il successo nel tempo del brand.
Cosa facciamo:
– Costruzione Nome di Brand;
– Costruzione Payoff e Claim;
– Strategia Nominale di Marca;
– Protezione Legale del Nome di Marca*;
– Registrazione del Marchio*.
*Queste attività potrebbero essere seguite insieme a partner specialisti del settore.